Per oltre mezzo secolo, gli Stati Uniti hanno perseguito una strategia imperialista mirata al controllo di tutto il pianeta. I leader politici americani si sono sempre dimostrati desiderosi di realizzare questo sogno di dominio, indipendentemente dai rischi che comportava, e l'attuale amministrazione Bush sta intensificando questo processo. Chi come il grande intellettuale ha esaminato tutte le guerre americane degli ultimi quarant’anni sa che l’attuale orientamento dei neocon non è la risposta a un attacco inatteso, ma la prosecuzione della strategia inaugurata da Reagan e perfezionata in questi anni dai falchi della Casa Bianca capeggiati da Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz. I nobili principi sciorinati per giustificare l’opzione militare sono in realtà la “fabbrica del consenso” della superpotenza che distrugge il mostro Saddam Hussein dopo averlo creato in funzione anti-iraniana, che trasforma il dittatore foraggiato fino al giorno prima nel Nemico Pubblico. La guerra per la democrazia è rivolta solo contro i cosiddetti rogue states – quegli stati canaglia che non accettano l’imperialismo statunitense – ignorando completamente altri paesi alleati dell’America come Arabia Saudita e Turchia, in cui pure la violazione dei diritti umani è sistematica. L’arbitraria selettività negli obiettivi da colpire toglie ogni credibilità all’esportazione del modello democratico e addita la politica degli Stati Uniti come principale fattore d’instabilità internazionale. Il loro progetto di egemonia mondiale, infatti, mette a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta e, anziché liberarlo dalla minaccia del terrorismo, mira a tenerlo in uno stato di perenne terrore, per poterlo piegare sempre più ai propri interessi.
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