martedì, gennaio 04, 2005

BUSH, BIN LADEN e il petrolio di *Sbancor

Due milioni di barili al giorno sono la differenza fra un mercato del greggio “corto” o lungo. Fra $30 barile e $150 al barile. George Bush lo sa. I sauditi anche. Osama Bin Laden pure.
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25 Dicembre 2004 2:53 NEW YORK

*Dietro lo pseudonimo Sbancor si cela un noto banchiere italiano.

- Se fosse ancora vivo, Plutarco non avrebbe avuto esitazioni a scrivere le “Vite Parallele” di Bush e Bin Laden. Come in una antica leggenda l’uno infatti non fa che inverare i fantasmi dell’altro, in un gioco di specchi e porte aperte e chiuse degne di una commedia attica. Eppure Plutarco, ultimo dei grandi sacerdoti ellenici, avrebbe avuto qualche difficoltà a capire la “religiosità” dei due protagonisti.

Ad esempio nessuno ha finora notato la comune avversione verso l’alcool che accomuna Bush, cristiano rinato, e Bin Laden adepto wahabbita. E ve lo dice chi dell’alcool ha lunga e non pentita esperienza. Ad entrambi manca quello spirito dionisiaco e panico, che solo una lunga ed accorta distillazione può dare. Entrambi troppo attaccati al proprio “io astemio” per poter liberamente delirare, con le innumerevoli forme che l’essere può prendere, saggiamente diluito appunto, in una miscela alcolica. Vero è che non c’è più pericoloso alcolizzato dell’astemio, sempre pronto – senza neppure la giustificazione dell’ubriachezza – a prendere per verità i suoi deliri.

Insomma è sapienza volgare, ma non per questo meno attinente, il dire che un ottimo Martini o Alerxander o, se più vi piace un Bloody Mary, avrebbe fatto del gran bene ai due forsennati protagonisti della III° o IV mondiale guerra che, con insulsa vanità, si propone di insanguinare il già provato pianeta.

Fuggiti dai concreti piaceri del vitigno, i nostri, (si scusi il termine) eroi sembrano prediligere il petrolio, ancorché il vino o i distillati, ad oggetto delle proprie smisurate brame. Entrambi con un unico e coerente obiettivo: farne aumentare il prezzo.

E di petrolio dunque si parli, visto che non abbiamo di meglio. L’oro nero, sommamente inquinante e a differenza dell’oro, di vischioso ed insalubre aspetto, attraversa una delle sue cicliche fasi di scarsezza. E non perché non ve ne sia abbastanza sulla terra, anzi sotto la terra. Finirà ben prima il genere umano del petrolio, se non pone fine alla dissennatezza di usarlo come principale fonte di energia.

Sul petrolio si dicono molte sciocchezze. Modelli matematico-statistici che ne prevedono la fine entro pochi anni, congiure di palazzo della famiglia Saud, apocalittici scenari sui consumi cinesi. Ripeto: molto probabilmente sarà il petrolio a mettere fine al genere umano, ma non per la sua scarsità, semmai per la sua abbondanza e per il suo uso scriteriato. Il fatto è che le riserve mondiali di petrolio sono oggi un multiplo di quelle che erano negli anni ’70, quando già gli apocalittici del Club di Roma volevano convincermi ad andare in bicicletta. Riaffermo: la bicicletta è sicuramente salubre, ma con il petrolio non ha nulla a che vedere.

Ed allora, come diceva il banchiere Mattioli, facciamo due conti. La domanda mondiale di petrolio nel II° trimestre 2004 è stata 80,90 milioni di barili/giorno, contro i 79,77 del 2003. Un po’più di 1 milione di barili di domanda. Circa 1 milione di barili ne ha assorbiti la Cina, che è passata dai 5,55 del 2003 ai 6,57 del II° trimestre 2004. La domanda cinese ha “fatto” il mercato nonostante che il suo “peso”, in termini di incremento di domanda sia pari all’1,25% del mercato.

Troppo poco per spiegare gli incrementi di prezzo.

Ed allora cos’è che spinge in alto i “prezzi del greggio”?

Da economista risponderei:

1) il grado di utilizzo degli impianti, che è superiore al 96%: troppo alto. I mancati investimenti dovuti al “basso” prezzo del petrolio degli anni ’90 fanno sentire il loro effetto con un “gap” temporale di 5/10 anni, che è assolutamente “normale” nell’industria petrolifera. 2) La guerra “irachena”: il cui effetto è però relativo. Nei primi nove mesi del 2004 infatti la produzione si è stabilizzata su 2,4 milioni di barili giorno, nonostante gli attentati. E vero che l’Iraq può superare i 4 milioni di barili giorno, ma è comunque sopra la media degli 1,3 del 2003, anno di guerra. Gli attentati per ora hanno inciso soprattutto sul trasporto via autobotte e sulle interruzioni delle pipelines, più raramente sulla produzione. 3) La contesa sulla “Yukos” fra Putin e la mafia russa, dove Putin rivendica tasse non pagate dal colosso petrolifero per un ammontare tale da farlo fallire. La Russia infatti è il secondo produttore mondiale di petrolio e la Yukos è la più grande compagnia petrolifera del paese. Ora ri-nazionalizzata, con un colpo di mano giusto prima della fine dell’anno. 4) Le crisi in Venezuela e Nigeria, che assommate alle precedenti hanno un influenza maggiore del peso relativo dei due paesi sullo scacchiere internazionale.

Questa congiuntura pone l’Arabia Saudita, primo produttore al mondo di petrolio, e paese più ricco di riserve accertate, cioè disponibili, in una condizione di arbitro del mercato mondiale. 9.500 milioni di barili giorno esclusi i condensati. E possono arrivare a 12 milioni di barili, in caso di crisi.

E i Saud sono il vero mistero. Chi dagli anni ’70 abbia seguito le sorti della dinastia, sa che le strategie saudite sono almeno doppie, quando sono a corto di idee. Unica provincia dell’Impero che può dialogare direttamente con il sovrano, l’Arabia Saudita può disorientare anche gli analisti più accorti. I legami d’interesse e i conflitti con l’imperatore, i rapporti fra la Casa dei Bush e la Casa dei Saud costituiscono la vera chiave interpretativa degli ultimi 30 anni di Storia. (Si veda in proposito l’ottimo libro di Robert Bear – ex agente CIA – “Sleeping with the Devil”, ora tradotto anche in italiano).

Ho incontrato dei Sauditi a uno di quei convegni internazionali che fanno la gioia dei banchieri. Solerti promettevano petrolio a non finire. Il balletto intorno alle cifre delle riserve di petrolio saudite era impressionante. Un dato però risultava certo: in un orizzonte di tempo di cinque-dieci anni i giacimenti di petrolio saudita rappresenteranno l’unica vera “valvola” sul prezzo. Soli i sauditi infatti possono aumentare immediatamente la produzione fino a due milioni di barili al giorno. E due milioni di barili al giorno sono la differenza fra un mercato del greggio “corto” o lungo. Fra 30 dollari barile e 150 dollari al barile. Gli americani lo sanno. I sauditi anche. Bin-Laden pure.

Il vero problema è che, all’interno degli oltre 50.000 principi che formano la casa reale dei Saud, è difficilissimo distinguere i filo-occidentali dai seguaci di Osama Bin Laden. E il motivo è semplice, per quanto sconcertante: sono le stesse persone.


BUSH, BIN LADEN E IL PETROLIO (II)

La Casa dei Saud ha finanziato per 25 anni l'estremismo islamico. Ma ha un problema, il pretendente al trono è completamente pazzo. Dai finanziatori agli operativi: sulle tracce di Bin Laden, dall'Arabia Saudita al Pakistan. Chi paga e chi è pagato?
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2 Gennaio 2005 5:00 ROMA

-“Follow the money” – Segui il denaro diceva Deep Throath (Gola Profonda) ai due giornalisti che incriminarono il Presidente Nixon per lo scandalo Watergate. Ma per seguire questo flusso di denaro non bastano due intraprendenti cronisti del “Washington Post”. Dal 1979 la casa regnante dei Saud lancia la più grossa offensiva di propaganda religiosa mai vista sulla faccia del pianeta: 70 miliardi di dollari è il “budget” iniziale.

Nel 1979 due fatti erano intervenuti a modificare gli assetti del Medio-Oriente: la rivoluzione iraniana aveva creato una teocrazia sciita che sembrava in grado di combattere il “Grande Satana”, gli Stati Uniti d’America. Sempre nel 1979 un gruppo di militanti sciiti si impossessò per alcune ore della Grande Moschea della Mecca, il luogo santo dell’Islam dove è conservata la Ka’aba, la pietra nera. I Principi Sauditi si risvegliarono dal loro ozio fatto di ville sulla costa azzurra, Ferrari, Roll’s Royce e Rolex tempestati di diamanti. Gli “eretici” sciiti erano alle porte, l’Iran di Khoimeni si espandeva fino a Beirut dove nasceva il Partito di Dio, gli Hezbollah. Tutti i regimi mediorientali tremavano sotto la minaccia della Shia. A Istambul le donne si vestivano “all’iraniana”, Chador e cappotti lunghi grigi. A partire dagli anni ’80, con la guerra in Afghanistan, il flusso di denaro aumenta. I risultati si vedono: 1.500 moschee, 210 centri islamici, 202 collegi e circa 2000 scuole realizzate in quegli anni solo nei paesi non-islamici.

Le organizzazioni “di carità” incanalano flussi continui di valuta verso tutte le organizzazioni radicali islamiche, dall’Algeria al Sudan, dall’Indonesia alle Filippine.

Incontrammo Ben Bella ad Algeri: era appena iniziata la “mattanza algerina”, che è costata la vita ad oltre 300.000 persone. Gli chiedemmo chi secondo lui finanziasse gli estremisti islamici. “Ci rispose: “I Saud, cioè gli americani”.

Riyadh e Washington insieme fornirono 3,5 miliardi di dollari ai “mujaddin” che combattevano in Afghanistan. Durante la guerra in Bosnia i Saud misero a disposizione dei gruppi integralisti circa 150 milioni di dollari. Lo stesso fu fatto in Cecenia.

Ora è difficile credere che questa politica estera Saudita possa essere durata circa 25 anni senza che gli Americani ne sapessero nulla. Ma è proprio quello che il “rapporto al Congresso sul 9/11” ci vuol far credere. Più realistico pensare che in questo fiume di dollari, di petro-dollari, nuotassero molti pesci dell’amministrazione U.S.A. Di alcuni si ha diretta notizia, come dell’ex Direttore della CIA Richard Helmes, coinvolto nello scandalo BCCI come risulta dal “Rapporto Kerry”. Di altra si ha evidenza dai libri soci di alcune società ben introdotte in Medioriente come il “Carlyle Group” o la “Halliburton”. Quindi Bush padre e Cheney, Frank Carlucci e James Baker III.

Diversi agenti Cia hanno raccontato come per tutti gli anni ’90 qualsiasi inchiesta sul terrorismo islamico che coinvolgesse la famiglia reale Saudita venisse immediatamente fermata dai livelli gerarchici più alti. (cfr. The Saudi Connection “How Billions in oil money spawned a global terror network”. Stessa storia per il Pakistan e per il suo famigerato servizio segreto: l’I.S.I.

All’interno della Casa Reale Saud il “prediletto” di Re Fahd è Abdul Aziz, detto “Azouzi” che in arabo significa “Caro” a detenere la leadership nei finanziamenti agli integralisti. “Caro” girava con una Harley Davidson dentro i palazzi sauditi, travolgendo servi e schiavi. “Caro” è un po’ lento di cervello, viziato, inaffidabile. “Caro” ha speso 4,6 milardi di dollari per un palazzo. “Caro” ha ricostruito la “Mecca” in scala e paga attori perche recitino la parte dei “fedeli 24 ore su 24. Ha ricostruito anche l’Alhambra Medina e una mezza dozzina di siti islamici. “Caro” è pazzo da legare. Ma l’indovino di Re Fahd disse che “Azousi” avrebbe portato fortuna e lunga vita al Re. E ormai Fahd è ridotto a un vegetale. Defeca in pubblico e può essere mostrato solo da lontano alle cerimonie del regno. Recentemente gli uomini di Ghedaffi hanno cercato di eliminarlo. Inutilmente.

Regna Abdullah, il reggente uomo di costumi severi, della tribù dei Rashid. Uomo che viveva nel deserto amava i datteri ed il latte di capra. Ma intorno ci sono Salman, Sultan e Nayef. La “guerra di successione saudita” è già iniziata. E qualcuno pensa che porterà alla fine della “Casa dei Saud”.

Dai finanziatori agli operativi. Dall'Arabia Saudita al Pakistan: sulle tracce di Bin Laden.

Il reddito procapite nell’Arabia Saudita è passato dai 28.600 dollari del 1981 ai 6.800 del 2001. Nel 1981 era ancora in corso la guerra fra Iraq ed Iran che ha tenuto per anni alto il prezzo del petrolio. Il 9/11 2001 avviene l’attacco alle “Twin Towers”. L’Arabia Saudita subito dopo l’11 settembre invia negli USA oltre 9 milioni di barili di petrolio, scongiurando un inflazione devastante sui prezzi delle merci americane. Nel 2003 il P.I.L. dell’Arabia Saudita è cresciuto del 7,2%. E anche per il 2004 ed il 2005 si prevedono incrementi del P.I.L. superiori al 6%.

L’alleato saudita paga ed è pagato. Chi paga e chi è pagato? “That is the question”.

Esiste una sezione speciale della CIA. Si chiama Illicit Transactions Group (ITG). Cerca di trovare i canali che finanziano i terroristi, ed Al Qaeda in particolare. In Bosnia nell’ottobre del 2001 le forze della Nato fanno un'irruzione dell’Alta Commissione Saudita per gli Aiuti in Bosnia, fondata dal Principe Salman. Trovano foto degli attentati alle ambasciate USA in Kenia e Tanziana, prima e dopo il bombardamento, trovano foto del Word Trade Center e dell’incrociatore “Cole”, affondato da un commando di Al Qaeda. Ma c’è di più: $130.000 sono stati versati da Haifa moglie dell’ambasciatore saudita negli U.S.A., Principe Bandar, a due degli attentatori delle “Twin Towers”. Altri 100.000 $ sarebbero stati versati secondo il "Times of India" direttamente dal generale capo dell'I.S.I., il servizio segreto pakistano a Mohammed Atta. Il generale stava a Washington durante l'11 settembre e si incontrò con alti esponenti dell'Amministrazione Bush. Fra cui Richard Armitage. Il Generale ora è in pensione. Presumibilmente i suoi conti in banca no.

Tutte le indagini concernenti il flusso di fondi che portano ad Al Qaeda sono state bloccate. Ahmed Idris Nasreddin e Youssef M. Nada, indicati dopo l’11 settembre come due delle principali fonti finanziarie di Al Qaeda sono ancora a piede libero. Nada possiede ancora un albergo a Milano. Tutte le indagini sulle fonti finanziarie del terrorismo indicano un unico grande “sponsor”: la “famiglia Saud”. Ma questo non sembra interessare a nessuno, tranne che a Michael Moore.

La IIRO, controllata dal Gran Mufti di Riyadh, come la Muslim Word League ed altre centinaia di associazioni “caritatevoli” continuano a finanziare l’estremismo islamico in Bosnia, Kossovo, Checenia, Algeria, Sudan, Indonesia, Filippine, Thailandia Malesia ecc.

In Macedonia il fratello di Zawahiri, lo sceicco egiziano "numero due" di Al Qaeda ha agito indisturbato fino all’ 11 settembre. Guidava i ribelli di etnia albanese, mussulmani, sostenuti dal Kossovo Liberation Army (KLA). Ha avuto ospitalità in una base di una consociata della “Halliburton”.

A volte navigare su “Internet” non è solo piacevole. Ma anche interessante. E’ così che ho scoperto South Asia Analysis Group, un sito legato all’”intelligence” dell’India.

Ora gli indiani il problema del “fondamentalismo islamico”, come dire, ce l’hanno. In casa ed alle frontiere. E a volte sembrano decisamente sconcertati dal comportamento degli Americani. Come quando gli USA si fanno scappare Osama da Tora Bora. A loro risulta che sia stato ospitato e curato in Pakistan da ex membri dell’I.S.I. (il servizio segreto pakistano). Agli Americani no.

Non solo, agli indiani risulta anche che il capo della banda di rapitori di alcuni ingegneri cinesi in Afghanistan sia Abdullah Mahsud, un capo talebano arrestato durante l’offensiva americana del 2001-2002, deportato a Guantanamo e poi rilasciato. Attualmente è operativo nell’area del Sud Waziristan.

Ma ciò che manda decisamente “ai matti” i poveri indiani è la questione delle cassette audio e video di Osama. Si tratta di ben 30 messaggi, dal 9/11/2001 recapitati tutti alla sede di Al Jazeera ad Islamabad. Ora – dicono gli indiani - come è possibile che trenta invii fatti da persone che presumibilmente sono in contatto diretto con Osama Bin Laden, che non usa altra forma di comunicazione con il mondo esterno, non siano stati soggetti neanche ad una “intercettazione” da parte della CIA, dell’FBI o dei servizi segreti pakistani (ISI), che non trascurano, peraltro, di interrogare chiunque, per caso, entri nell’ambasciata indiana a Islamabad?

Gli indiani si ritengono parte importante, e non a torto, della “guerra al terrorismo islamico”. Ma sono assolutamente sconcertati dal comportamento degli U.S.A.

I quali stanno chiudendo l’anno in bellezza con la fornitura di F/16 (che possono trasportare armi nucleari), batterie di missili anti tank e anti arereo, sistemi radar per la marina e batterie di modernissimi cannoni “Vulcan” proprio all’esercito pakistano del Gen. Musharraf.

(continua)

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