martedì, gennaio 11, 2005

L'etica del taglione

ALESSANDRO ROBECCHI

Leggere su un giornale italiano che la tortura, tutto sommato, in fondo in fondo, a pensarci bene, non è poi così male, fa un certo effetto. Ma, pardon, mi correggo, non è tortura, stolto che sono. Il Foglio, l'unico quotidiano al mondo che sa l'inglese (compresi quelli americani e inglesi, ovvio) ci fa la lezioncina: il nuovo ministro della giustizia di Bush (e della nazione, ci mancherebbe!) non ha mai parlato di «tortura», ma di «stimoli» sui prigionieri. E' un decisivo argomento dialettico, una sfumatura: se mai un giorno dovrete stare a Guantanamo inginocchiati per tre anni con una tuta arancione e una buona razione di legnate stimolanti, avrete tempo per riflettere sulla sottigliezza. Dunque, alla fine, la decisione degli Stati uniti di non applicare la convenzione di Ginevra nelle sue attuali guerre in corso non è così male. Dopo Ashcroft che metteva il reggiseno alla statua della giustizia, ecco il signor Gonzales, che fa il suo brillante discorsetto, naturalmente condanna la «tortura», e nel contempo sollecita gli «stimoli». Già mi vedo i prigionieri di Abu Grahib che festeggiano nelle foto e nei filmini. Fin qui siamo, per così dire, alla constatazione di come va il mondo: la prima potenza mondiale eccetera eccetera che fa parlare i prigionieri a suo modo. Un po', credo, come ha sempre fatto. O fatto fare a professionisti ingaggiati sul posto in tutta l'America latina, o con le minoranze interne durante la seconda guerra mondiale, o con gli attori e gli sceneggiatori comunisti di Hollywood, o con le popolazioni indigene eccetera eccetera. Ecco, è la cara vecchia America. Di questi tempi poi, particolarmente impegnata nella dimostrazione dell'antica logica che il più stronzo deve picchiare più forte. Si chiama Impero, credo.

Ma se le guardie imperiali incutono un certo timore, altrettanto non si può dire dei loro uffici stampa, pericolosamente a corto di idee.
L'illuminato ragionamento che giustifica la tortura è il seguente. A) Ci troviamo di fronte a un nuovo nemico e a un nuovo tipo di guerra. B) Dobbiamo usare metodi nuovi. C) Tagliamo le palle a quei bastardi finché non parlano! Vedete anche voi che il ragionamento è deboluccio: si invoca modernità e adeguamento al nuovo nemico e si finisce per usare gli stessi sistemi di venti secoli fa. Senza contare che ogni nemico in ogni guerra è sempre «nuovo», e ogni guerra è sempre una «nuova» guerra, e dunque allegramente ci adegueremo e compreremo nuovi elettrodi e pinze e strumenti stimolanti per sempre «nuovi» prigionieri. Non fa una grinza, ma dal punto di vista culturale - diciamolo - il ragionamento si avvicina più al modello Di Canio che a quello dell'intellettuale colto, sia pure neocon. Urge dunque correre ai ripari. Sì, va bene, tortura, stimoli, costrizioni, convenzione di Ginevra, belle parole. Ma, fateci caso, tutto viene più bello e luccicante se ci spalmate sopra, come una vernicetta trasparente, un po' di etica. Anche le peggiori scempiaggini (torturiamo la gente perché è una guerra nuova, ah, ah, ma chi gli scrive i testi a Ferrara?) sono più digeribili se condite con l'etica giusta. Come per il confetto Falqui, basta la parola: etica! Guardare in faccia questa cosa, cercare informazioni dai prigionieri e non aver paura di usare «stimoli» per convincerli, e dirlo in un'aula del Congresso degli Stati uniti è una cosa etica. Se lo dite con atteggiamento pensoso, magari con un po' di trombonica retorica sul male e il bene, e qualche trucchetto da buon prosatore, chissà, qualcuno può anche cascarci. Bene, salutiamo con un bell'applauso questa new entry del nuovo millennio, la tortura etica. Ora, abbellito e agghindato, reso accettabile dai sottili ragionamenti dei ponzatori e placcato di etica, anche il vecchio caro tubo di gomma per picchiare la gente è sdoganato, accettato, reso più umano e dolorosamente utile. Bisognerà avvertire le maestranze, quei bravi ragazzi americani di Abu Grahib: ehi, gente, tranquilli, è il vostro vecchio manganello, nuovo modello, modello etico.


Anche se, in tutta franchezza, mi sfugge il motivo per cui uno che giustifica la tortura debba poi darsi anche una giustificazione morale. Dico, va bene armarsi di strumenti teorici, è lodevole. Ma se sei arrivato alle pinze roventi, al guinzaglio e alla deprivazione sensoriale, che te ne fai dell'etica?

Nessun commento: