lunedì, gennaio 10, 2005

Fumare meno fumare meglio

di MICHELE SERRA

OGNI vizio contiene il sottile ma netto discrimine tra il piacere e il dispiacere. Fellini ci ha mostrato un Casanova che si non si accoppia più per godere, ma per dovere, e copula con zelo meccanico, come un orologio a cucù, come uno schiavo della reiterazione. Da fumatore conosco bene quel discrimine, e odio il mio vizio più spesso di quanto lo ami. Le sigarette godute sono una piccola minoranza, la maggioranza brucia nell'esercizio spesso nauseante della dipendenza. I posacenere zeppi e fetidi, l'abitacolo della macchina pregno di fumo vecchio, il mal di testa da overdose nicotinica descrivono il fallimento di un piacere divenuto routine irriflessiva, condanna quotidiana. Come un lavoro?

Ecco, accanto alla giusta preoccupazione sugli eccessi di zelo dello Stato ficcanaso e salutista, è bene inserire anche una riflessione su quanto invadente e costrittivo sia anche il tabagismo, che ci impone un obbligo, quello di accenderne sempre una di troppo, almeno tanto pesante, e pedante, quanto la nuova legge anti-fumo. Per questo saluterò questo primo giorno proibizionista con serenità, vedendo se riesco a coglierne le opportunità sopportandone gli obblighi.

Fumare, intanto, non è vietato. È consentito laddove non si ledano i polmoni altrui, o se non credete alla nomea funebre del fumo passivo, dove non si colonizzi l'aria degli altri, per i quali magari è fetore ciò che a noi sembra aroma. Dalla mezzanotte di ieri noi fumatori abbiamo un vantaggio: siamo indotti a riconsiderare ogni sigaretta come una scelta, un'occasione, una piccola vacanza, e non più come un gesto ovvio e abusato. La nuova legge impreziosisce il fumo, lo restituisce alla sua nobile natura di vizio. Un vizio inflazionato non è più tale, non è più un gioioso sgarro alle regole, è un tic devastante, un meccanico obbedire.


Poiché viviamo in un'epoca bulimica, nella quale ogni qualità diventa quantità da ingurgitare, e ogni assaggio indigestione, qualunque discorso sul limite e sulla misura diventa per ciò stesso interessante, e perfino seducente. Capisco le perplessità dei miei fratelli fumatori, e condivido soprattutto l'antipatia contro un certo maccartismo salutista che vede l'uomo come un'entità vergine da purificare ad ogni costo.

Non voglio essere purificato, amo sentirmi moderatamente contaminato perché ritengo che vivere e contaminarsi (e consumarsi, perché non dobbiamo essere avari) siano quasi sinonimi. Però, se lo spirito critico vale nei confronti dello Stato infermiere, deve valere anche nei conti privati che ciascuno di noi fa con le proprie abitudini, e attitudini. Il vizio, quando si trasforma in una specie di maschera immodificabile (l'ubriaco depresso, il cocainomane sopra le righe, il mangione che non parla d'altro, il tabagista che ti fuma in faccia senza nemmeno chiedersi se ti avvelena l'aria) è anch'esso artefice (nonché vittima) di un'ossessione totalitaria.

È esiziale per se stesso, ma è anche ingombrante e sgradevole per gli altri. Il moltiplicarsi dei narcisismi ("io sono così e mi piaccio così, che ci volete fare") che già ammorba la convivenza sociale suggerirebbe - per mitezza, per intelligenza - di provare, ciascuno nel suo, a contenersi, ovvero a modificarsi, a cambiare, a non rimanere impermeabili alla presenza e al giudizio degli altri.

Si tratterebbe, poi, più o meno di quello che i nostri vecchi chiamavano buona educazione. Le leggi intervengono, in genere, laddove le persone non sono più in grado di normarsi da sé sole, di chiedersi, cioè, dove e quando il proprio diritto invade e lede quello altrui. Così questa legge, che mi è sommamente antipatica perché nasce (lo spiegava bene Maurizio Ricci ieri su questo giornale) dal paternalismo di Stato, e insomma ci tratta da discoli immaturi, mi sembra comunque una legge necessaria e inevitabile, perché fa da contrappasso a una delle tante incontinenze sociali, e aiuta a percepire meglio l'esistenza del prossimo.

Fumare meno, fumare meglio potrebbe essere lo slogan giusto per rinobilitare un vizio elegante come il tabacco, scaduto da tempo, per colpa di noi fumatori, al rango di rovinosa e banale intossicazione di massa.

(10 gennaio 2005)

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